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martedì 14 luglio 2015

Alla radice.


"Radice" del reale manifesto.

Come puoi, da prima, accorgerti e, poi, (ri)cordare?
 
(Ri)trovando e, dunque, (ri)conoscendo(ti)…
Un momento: quale è il soggetto sottinteso "(ri)preso" da un simile modo di “essere”?
Ce ne sono due:
  1. tu (Io)
  2. il Dominio (altro).
Lo specchio ed il “suo” (ri)flesso nel reale manifesto ("suo" inteso come: "in suo possesso/sotto al suo influsso").
Ti puoi, quindi, accorgere del Dominio… il quale, a (di)scendere, ti porterà a (ri)conoscer(ti), proprio come un esatto processo di recupero della memoria, da quello che è certa(mente) stato uno shock, un trauma pregresso e registrato ad ogni livello (d/n)ell’insieme infrastrutturale che sor(regge) l’(im)possibilità.
Hannah Arendt ha speso la sua Vita, nel “capire”, in luogo dell’interpretare (generico e generale) del lasciarsi andare alla corrente delle emozioni, che genera e regola lo (s)correre esistenziale (de)limitato dalla (f)orma di reale manifesto (paura, status quo).

Nel caso in questione:
l'ebreo che si preoccupa della condanna del nazista, senza guardare più in là del proprio naso, sull'onda del disgusto per quello che ha provato ed, allo stesso tempo, creduto unica(mente) di vedere.
Credendo di "far giustizia", omettendo i vari "perchè"... trascinando(si) dietro il "seme di quella ingiustizia, che giustizia è - all'in(verso) - dalla prospettiva del Dominio".
Ciò che è, di fatto, diventato lo Stato di Israele, per tutti coloro che ne saggiano le asperità di "oggi", ad "immagine e somiglianza" di ciò che ha provato "ieri", decretando il "passaggio epocale del "seme della discordia" dal quale de(riva) la costante "guerra fra poveri", sullo (s)fondo dell'inossidabile Dominio (il terzo che gode, incontrastato, fra i due litiganti).
Quando il New Yorker mi ha mandato a fare il reportage sul processo di Adolf Eichmann, supponevo che la corte avesse un unico interesse:
di soddisfare le esigenze della giustizia (termine troppo vago. Quali sono le sue "esigenze"?).
Non era un compito facile, perché la corte che processava Eichmann aveva a che fare con un crimine che non poteva trovare nei codici di legge (ma nella storia sì. La legge serve a questo “qua, così”: a far finta di nulla, come se fosse sempre la “prima volta”).